L’essere umano è natura.
Il suo sistema nervoso si è sviluppato negli anni d’evoluzione per rispondere agli stimoli di ambienti naturali diversi.
I nostri antenati si arrampicavano sugli alberi, attraversavano foreste, savane ed altri territori a piedi nudi e raccoglievano i frutti della terra con le mani per vivere. Il rapporto con la natura era fatto di rispetto, gratitudine e opportuna reverenza e timore.
Possiamo prendere ad esempio alcune tribù come gli Achuar, etnia che vive lungo la frontiera tra Ecuador e Perù, per cui tutte le creature che abitano la foresta sono considerate alla stregua di parenti acquisiti, non fanno distinzione tra umani e non umani, non esiste una differenza spirituale o di complessità biologica, esiste solo un diverso modo di comunicare tra loro. Secondo questa concezione una pianta, un animale o un sasso possono avere un’anima proprio come un essere umano.
L’antropocentrismo ha portato l’uomo ad assoggettare la natura in modo sempre più sconsiderato, creando una progressiva separazione tra lui e il suo ambiente naturale e provocando gravi conseguenze sulla salute di tutto il mondo naturale umano e non umano.
Nuove forme di disagio stanno nascendo, soprattutto nelle nuove generazioni, peggiori vittime di questa separazione che progressivamente è sempre più profonda. Si parla per esempio di Eco-ansia, la preoccupazione e l’ansia causate dall’impatto dell’umanità sull’ambiente naturale e di Nature Deficit Disorder per la prima volta raccontato nel libro “L’Ultimo Bambino nei Boschi” di Richard Louv.